Le ideologie e le sciocche mode finiranno per uccidere il Borgo
Amministratori “fricchettoni” ignari del buon senso
La Città Vecchia più di tanto non resuscita e di là dal canale ormai da tempo si sta creando un’altra “isola che non c’è”
Taranto, città “frangisogni”, si prepara a infrangere un altro sogno, per piccolo borghese che sia: vivere comodamente alla periferia della città, in case nuove e con un po’ di verde, e contemporaneamente raggiungere ad ogni occasione l’amato Borgo Umbertino per una passeggiata nella locale “Ville Lumière” (via D’Aquino e via Di Palma) per far spese, per un mercatino natalizio, una processione, un concerto sulla Rotonda, una nave che attraversa il Canale, o magari solo per un caffè con un amico sorseggiato seduti a guardare lo “struscio” altrui.
Diciamo subito un pensiero amaro ma che da tarantini possiamo permettercelo: Taranto è solo Borgo e Città Vecchia, tutto il resto non è una città ma un ammasso di case anonime e stradine inadeguate. Di che parliamo se accenniamo agli inquinati e semiabbandonati Tamburi, al sempre fatiscente Porta Napoli, al dormitorio Paolo VI, allo sconcertante reticolato di vicoletti delle Trecarrare, al fallito centro direzionale Bestat, all’alveare di Rione Italia con palazzoni anonimi simili all’edilizia popolare sovietica, alla pericolosa Salinella?
La nostra vera città, la nostra identità sta lì solo, nei due bei quartieri incernierati dal ferroso ponte girevole, dove si respira una storia bella e antica, non quella di quasi un secolo di speculazione edilizia che non ha lasciato ai bambini di oggi che rare piazzette (provate a contarle!) e scarni ciuffi di verde. Niente a che vedere con le tre belle piazze messe in fila in soli trecento metri lungo la “Ville Lumière” e circondate dai Giardini del Peripato, il Canale navigabile e il lungo e unico Lungomare: una fiera di spazio, aria, verde e mare.
Borgo? Tutti in monopattino!
Ma sul Borgo, per forza di cose centro irrinunciabile del commercio (un altro mondo rispetto alle sorelle “povere” via Cesare Battisti e viale Liguria), da tempo si accumulano nubi che stanno per provocare disastri grazie all’aggravamento di certe condizioni come la fame di “modernità” delle ultime amministrazioni.
Insomma, al Borgo non si può accedere davvero più perché in tempi di Covid – e sono già due anni – non mi venite a parlare di trasporto pubblico; con l’auto il più delle volte si arriva dalla periferia, si gira e rigira per un’ora in penose file senza trovare parcheggio e si torna a casa; e non chiedetemi, alla mia età, di recarmi lì in monopattino per giunta con la moglie abbracciata da dietro.
Sia chiaro! Io sono uno dei rarissimi cicloamatori tarantini che con la bicicletta, in ogni stagione. mi sposto, faccio la spesa e servizi vari. Ma il monopattino no: è un articolo per bambini realizzato elettrico per adulti al solo scopo di arricchire l’industria cinese e spendere il danaro pubblico per creare deserte piste erroneamente denominate “ciclabili”.
E’ la moda del momento che per l’insipienza dei nostri governanti , allergici a prevedere gli effetti, sta creando morti e feriti in più, sta ingolfando ulteriormente il traffico nelle città e sta eliminando ovunque in Italia milioni di parcheggi per le auto e persino le corsie per mezzi pubblici.
Ma il dato che taglia la testa al toro è che se fossimo in Romagna, con migliaia di cittadini che usano le due ruote, capiremmo tutto e sopporteremmo tutto; ma a Taranto nessuno (tranne mosche bianche) usa le piste ciclopattinabili. Ovvero, hanno creato un enorme disservizio a tutti i cittadini per favorirne…dieci? Cento? Per non parlare dei soldi (sempre nostri, da qualunque parte provengano) pubblici. Davvero geniali!
Vabbe’ le mode, ma le auto?
Perché sì, le auto le abbiamo (magari, scusate, non tutte elettriche) le abbiamo comprate sostenendo l’industria automobilistica, paghiamo bolli e assicurazioni, paghiamo tutte le accise sui vari carburanti, ecc. Perché dovremmo anche tenerle chiuse nei garage sotto casa?
Questo lungo ma necessario preambolo è per dire che la nostra vita cittadina, come tutte , vive per la stragrande maggioranza in un’area molto vasta, ma per una serie di occasioni tende a confluire tutte al centro di quell’area. Noi tarantini abbiamo un problema peggiore: il nostro centro è un piccolo triangolo, davvero un imbuto, che non ha spazi adeguati e non dà scampo.
In questo triangolo di case umbertine non ci sono garage (tranne poche eccezioni) e i cortili, dove liberi, possono accogliere spesso una sola vettura, tanto da rendere assurda l’eliminazione sulla strada di due o anche tre posti auto. Va poi considerato che la “Ville Lumière” è tutta isola pedonale (per fortuna!) ma è pur sempre circa un chilometro di strade sottratto al transito e soprattutto al parcheggio.
In questo scenario, eliminare centinaia e centinaia di posti auto per creare piste “monopattinabili”, è davvero assurdo. E non solo per i tanti cittadini della periferia che accorrono quotidianamente al centro per lavoro o per tutti i motivi sopraddetti, ma prima di tutto per gli abitanti stessi del Borgo. I quali, anche loro – ma guarda un po’ – “pretendono” di avere una o più auto a famiglia. Le Amministrazioni comunali che si sono succedute si sono lavati la coscienza “donando” a ogni nucleo familiare del Borgo un pass per parcheggiare gratis. Sì, ma dove, dato che abbiamo visto che parcheggi non ce ne sono per nessuno? Ed ora , come se si volesse rimediare alla schifezza dell’aumento delle ore di parcheggio a pagamento che insistono su tutto il quartiere, e l’aumento del costo anche in alcuni parcheggi a metà prezzo, si è deciso di rilasciare abbonamenti scontati per la seconda auto degli abitanti e per i commercianti: come se questi provvedimenti creassero più posti auto.
In pratica, ammesso e non concesso che il Borgo possa permettersi di parcheggiare le auto di tutti gli abitanti e di tutti i commercianti (io dico di no) nessun altro “forestiero” potrebbe trovare posto.
Ma quanti bei dehor madama Dorè…
Ma i guai del centro di Taranto non sono solo le piste “monopattinabili”. Il solito Covid , una certa idea di “città da bere” , e un voler strizzare l’occhio alla categoria di baristi e ristoratori, ha fatto mollare i freni e l’Amministrazione ha concesso a chiunque (e per il momento a titolo gratuito) di occupare posti auto con pedane e tavolini, più o meno chiusi, più o meno gradevoli all’occhio. L’immagine di città – diciamolo subito – è bella, ed è piacevole aggirarsi in una sorta di immensa “piazza-cibo”, festosamente illuminata e allegramente frequentata, nonché prendervi parte. Quello che non va, invece, è che non sono state date regole circa le dimensioni di dehor o semplici pedane, cosicchè ognuno ha preso spazi che vanno ben al di là della proiezione esterna del proprio locale, andando a servire caffè o pizze anche davanti al negozio accanto e, soprattutto, togliendo quanto più posti auto possibili.
L’altra piaga sono i passi carrabili: tanti, troppi, alcuni fasulli (tanto, costano solo 90 euro all’anno). E chi controlla?
In via Crispi , una sera, mi sono imbattuto in un passo carrabile la cui saracinesca alzata faceva vedere un tavolo con quattro persone che giocavano a carte.
Nei palazzi davvero di fine ‘800, ci sono portoni strettissimi buoni a far passare uno “sciarrabballe” o anche una antica Fiat 500, ma impossibile per un’auto dei giorni nostri. Tant’è che spesso quei passi carrabili servono al proprietario per parcheggiare impunemente davanti la propria auto (alcuni casi visti più volte).
Passi carrabili e posti handicappati
Poi c’è il problema dei posti per handicappati. Frenate lo sdegno e le polemiche: non ce l’ho con chi è più sfortunato, anzi! E ritengo giusto che ci siano i posti numerati, davanti all’ abitazione di un particolare portatore di handicap, più posti non numerati a disposizione di chi si reca in quelle zone (come c’è davanti ai centri commerciali).
Qualche domanda, però, è sempre bene porsela: è la prima regola di un cronista. Se io, ad esempio, sono sordo o mi manca una mano, sono handicappato: ma ho diritto ugualmente ad avere il posto auto davanti a casa? Seconda domanda: quando un handicappato – come succede a tutti prima o poi – viene a mancare, chi toglie dalla strada il posto riservato?
Trent’anni fa mi accadde di non trovare più l’auto che avevo lasciato in via Principe Amedeo perché, a causa del buio e della pioggia, avevo parcheggiato sul posto numerato di un disabile. Con vergogna pagai la multa e il carro attrezzi. Da allora non ho mai dimenticato quell’episodio ogni volta che sono passato di lì. Ma col passare dei decenni non ho potuto non chiedermi se il titolare di quel permesso fosse ancora in vita. Per combinazione, quel parcheggio per disabile è stato tolto solo di recente – quando si è cercato di aiutare baristi e ristoratori rovinati economicamente dal Covid – per far posto all’ennesimo dehor del bar prospiciente. Presumo che il titolare dell’esercizio, avendone bisogno, si sia informato e abbia sbloccato un posto usato impropriamente chissà da chi. Ma il Comune non potrebbe controllare semplicemente incrociando i dati dell’anagrafe?
Ecco, come dimostrato, che il Borgo – a partire dai suoi abitanti e commercianti – soffre per tante cause , a partire da una sorta di asfissia, come di uno stagno chiuso senza affluenti; ai costi esorbitanti dei fitti dei locali che stanno da tempo desertificando via Anfiteatro, via Principe Amedeo, via Mazzini. Certamente le soluzioni – quelle vere – andrebbero ricercate in progetti alti e coraggiosi. Quarant’anni fa l’assessore regionale Angelo Monfredi – per dirne una – fece approvare e finanziare (finanziare!) dalla Regione, tre parcheggi silos al Borgo. Se quarant’anni fa si pensava a tre silos, come è possibile , quarant’anni dopo, pensare a un paio di cortili?
Comunque, per non smentire l’indole tarantina, anche quei tre autosilos non furono mai neanche iniziati.
E pensare che nel mondo si realizzano addirittura aeroporti con colmate a mare; per non parlare di quello di Osaka realizzato addirittura costruendo un’intera isola galleggiante.
Ma è inutile “volare alto” (come diceva il sindaco Guadagnolo) e sognare “alto” in una città che non ha saputo neanche salvare il proprio storico quotidiano…
Antonio Biella