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Politica

MAMMA, HO PERSO IL CETO MEDIO!

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Non fai in tempo a passare dalla prima alla seconda Repubblica, e di qui alla terza, che ti guardi intorno e…perbacco! Non trovi più il ceto medio. Per la verità ce n’eravamo accorti, ma un articolo dirompente come quello di Antonio Socci (che cita un libro di Gervasoni), l’altro giorno su Libero, è come un caporale che la mattina ti dà la sveglia senza la delicatezza di mammà.

In poche parole ricostruisce la nascita del ceto medio italiano che avviene nel dopoguerra frutto di una concomitanza di rivoluzionarie circostanze: il Piano Marshall, ovvero gli ingenti aiuti americani per evitare che anche l’Italia, col più grande partito comunista occidentale, diventasse un Paese satellite della Russia; un nuovo stato sociale indispensabile nella fase di uscita da una guerra mondiale disastrosa e da una guerra civile moralmente peggiore; la quasi piena occupazione della popolazione grazie anche alle ciclopiche opere pubbliche; la riforma agraria che trasforma milioni di cenciosi braccianti e mezzadri in piccoli proprietari terrieri; il consequenziale sviluppo del commercio e dell’artigianato; la trasformazione (quasi solo al Nord) degli operai in imprenditori non sempre piccoli. Infine, non si può tacere della scuola aperta a tutti che diventa un grande ascensore sociale per i figli del popolo. E’ questa classe media, questa piccola borghesia  – ricorda Socci – la protagonista di quello che fu giustamente chiamato “il miracolo economico italiano”. Un trentennio d’oro che coincide con la guida del partito moderato e cattolico, la Democrazia Cristiana, che non solo promette (e poi realmente dà) il pane, ma contribuisce a conservare nella società i valori tradizionali dell’Italia e dell’Intero Occidente. Questo ceto medio, che tiene in piedi la Dc, fu guardato con un certo disprezzo dalle élite comuniste? Nel complesso si può dire di sì, visto che a sinistra, da sempre, si preoccuparono di essere “mangiapreti”, ovvero contro la religione cristiana, cercando di smantellare il cuore prima di tutto valoriale della nemica Dc e, di conseguenza, la poderosa macchina del consenso.  Ed anche un feroce accanimento delle tasse contro il ceto medio, operato da tutti i governi di sinistra della seconda repubblica, tale da livellare in basso i redditi delle famiglie italiane, denota un risentimento sordo verso quell’Italia “profonda” – come si dice di quella statunitense – che all’improvviso sconfigge la gioiosa macchina da guerra di Occhetto per dare la vittoria  a Berlusconi; o corre a mettersi in fila per un selfie con Salvini; oppure, ascoltando in tivvù Giorgia Meloni, senza accorgersene comincia ad assentire col capo. Un po’  – forse – come gli antichi tarantini chiamarono in loro soccorso quel greco-albanese di Pirro l’epirota pur di togliersi davanti alle scatole quei dannati romani. Un po’ – anche – perché al cuor non si comanda, ma alla pancia sicuramente si ubbidisce.

LE FOGLIE CHE SBAGLIARONO LEADER

“Su una pianta giovane c’erano quattro belle foglie…”. Così inizia una di quelle belle storie di Bruno Ferrero che aiutano sempre a pensare.  Ve la dico in breve. Delle quattro foglie una, la più grande, che si atteggiava a leader, decise di fare a meno dell’acqua. Le altre, per soggezione, si accodarono e costruirono degli ombrellini che si aprivano automaticamente quando pioveva. In breve la giovane pianta seccò e le foglie, ormai secche, furono portate via dal vento.

Ovvero: se sbagli leader, o se segui ciecamente il leader del momento, puoi finire male. La storia di Ferrero, scritta oltre quarant’anni fa, quando c’erano ancora i partiti tradizionali, sembra scritta per i nostri giorni. Allora c’erano i partiti che sintetizzavano le tante esigenze della società e armonizzavano le mille differenze al loro stesso interno; oggi ci sono i leader  ai quali tutti si allineano senza argomentare.

Cinque anni dopo questa storiella, apparve sulla scena Berlusconi. Sembrava un’anomalia, ma fu seguito a ruota da Renzi, da Salvini e persino da Di Maio. Una volta i potenti parlamentari venivano duramente messi in discussione dalle varie sezioni “De Gasperi” o “Di Vittorio” che fossero. Oggi, applaudendo applaudendo, rischiamo di finire  male come quelle quattro stolte foglie.

Antonio Biella