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BIANCHINA DI FANTOZZI SUPERTARTASSATA

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Eh sì, a ben vedere, il buon Fantozzi era maltrattato da tutto e da tutti, ma i momenti peggiori li viveva a bordo della sua mitica Bianchina, la piccolissima utilitaria di qualche decennio fa.

E se Fantozzi resta il simbolo dell’italiano sfigato, ora sappiamo che tutti noi siamo Fantozzi quando abbiamo l’ “ardire” di possedere un’auto. Almeno così deve pensarla lo Stato.

Sarà anche vecchia la notizia che gli automobilisti sono i più tartassati, ma è ugualmente interessante vedere il come, seguendo una bella indagine svolta dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre.

Cominciamo col dire che il fisco italiano, sulle auto, incassa 73 miliardi di euro l’anno: una cifra impressionante se si pensa che il totale delle entrate sugli immobili (case, terreni, capannoni industriali ecc.) arriva “appena” a 40 miliardi. Le auto, insomma, fruttano quasi il doppio degli immobili.

Diciamo, poi che tra il 2009 e il 2016, i governi si sono divertiti aumentando del 10,1 per cento dell’intero prelievo.

Dei 73 miliardi detti, 34,8  – quasi la metà – vengono solo dalle innumerevoli accise  sui carburanti: quando facciamo il pieno di gasolio dobbiamo sapere che il 63 per cento va allo Stato; se la nostra auto è a benzina, la “succhiata” del fisco vale ben il 66 per cento.

E poi c’è tutto il resto, ovvero: le imposte sui lubrificanti; l’Iva su manutenzione, ricambi, pneumatici, eccetera; l’Iva sull’acquisto dell’auto; il bollo auto; le imposte sull’assicurazione; le imposte su parcheggi e sulle contravvenzioni; le imposte sui pedaggi autostradali; l’imposta di trascrizione.

E pensare che spesso l’auto, per piccola e vecchia che sia, serve per andare a lavorare. Già, lavorare per pagare le tasse.

MA I PREFETTI COSA STANNO A FARE?

Il tema dei migranti è sempre all’attenzione nazionale specie in questi giorni di campagna elettorale.  Stavolta, però, è un po’ diverso perché anche un episodio di cronaca incruenta fa sollevare alcuni pesanti interrogativi. Circa duecento immigrati, ricoverati in un albergo romano, hanno inscenato una protesta perché da due mesi non ricevevano  il cosiddetto “pocket money” (se non parliamo in inglese non siamo contenti!) ovvero la paghetta di minimo 2,5 euro al giorno per qualche spesuccia. Ovviamente, gli spiccioli si aggiungono a vitto, alloggio, indumenti e prodotti di pulizia. E’ ormai noto che il tutto, dall’alloggio alla paghetta, fa parte di un accordo generale tra il Ministero degli Interni e le cooperative che gestiscono questo “affare del secolo”: ricordate le cooperative rosse di “Mafia Capitale”? Intermediari fra Viminale e coop. sono “le loro eccellenze” i prefetti che ad ogni sbarco e invio di pullmanate di migranti nelle varie province italiane, chiamano le cooperative e assegnano “ospiti” e quattrini.

I duecento di Roma, dunque, avevano ragione a protestare perché loro –  meglio di tutti – sanno che i soldi vengono stanziati dal Governo italiano e le coop., in quel caso, devono solo fare il passamano. Alla fine, visto il clamore e le cento telecamere puntate sulla protesta dell’Aurelio, qualcuno si è fatto vivo e ha assicurato che i soldi presto ci saranno. Naturalmente, la scusa era un vaporoso…”disguido”.

La domanda sorge spontanea, come diceva il bravo Antonio Lubrano: i signori prefetti (il titolo di Eccellenza non spetta più da tempo ma difficilmente ti correggono) che sono così bravi e solerti a piazzare migranti in ogni angolo d’Italia affidandoli a cooperative a volte quantomeno improvvisate, perché non controllano anche il regolare andamento di un’attività fatta con un impressionante stanziamento statale a scapito di tanti altri cittadini italiani bisognosi? Non hanno mai sentito parlare o letto sui quotidiani del già citato scandalo di “Mafia Capitale”, proprio a Roma, dove un gran faccendiere di cooperative rosse affermava che gli immigrati gli rendevano più della cocaina? E se Lubrano consente una terza domanda: quando finirà questa cuccagna sulle spalle tanto dei pochi migranti con reale diritto d’asilo, quanto degli italiani poveri rimasti senza diritti?

MA IN AFRICA NON SI ENTRA!

Ogni tanto qualcuno dice: “Sono tanti gli africani che vengono da noi che converrà che ce ne andiamo noi in Africa”. Mica facile. Un lettore de “La Verità”, che ha lavorato in molti Paesi africani per conto di aziende italiane, ha scritto: “Per entrare in quei Paesi era necessario avere un contratto di lavoro, un visto d’ingresso e la concessione di un permesso di soggiorno”. E mo’ chi lo dice a Papa Francesco?

Antonio Biella

Gianfranco Maffucci

Sottufficiale Marina Militare in pensione- fondatore associazione culturale Delfino Blu (1996), promotore per 8 anni consecutivi Premio Città di Taranto, premio rivolto ad artisti, pittori scultori, artigiani, fotografi, provenienti da diversi paesi esteri, premi di poesie. Mostre d’arte varia. Cofondatore blog Blufree. Appassionato da ragazzo di fotografia. Aderisce da anni ad una associazione di Templari (solidarietà e beneficenza)